Un “violino della Shoah” proveniente da un campo di concentramento nazista e un mandolino costruito da prigionieri di guerra tedeschi nella prima guerra mondiale. Sono i due strumenti appartenenti alla collezione privata di Carlo Alberto Carutti che lo stesso ingegnere e mecenate milanese ha consegnato al Museo Civico “Ala Ponzone”. Violino e mandolino vanno ad aggiungersi agli altri straordinari pezzi che fanno parte della sezione Le Stanze per la Musica, ospitata nelle sale sale settecentesche del piano nobile di Palazzo Affaitati, una delle più importanti raccolte di strumenti a corda per la qualità, rarità e stato di conservazione degli strumenti che la costituiscono. Strumenti di alto valore simbolico, oltre che storico e materiale, perché hanno vissuto direttamente gli orrori della guerra e della prigionia.
Il violino, in particolare, è stato testimone dei campi di sterminio nazisti durante la seconda guerra mondiale, atroce esperienza alla quale non è purtroppo sopravvissuta la sua proprietaria, una torinese di origine ebrea. Sul fondo si caratterizza per la stella a sei punte intarsiata con un filetto in madreperla. E' di buonissima fattura ed è probabilmente ascrivibile alla scuola liutaria piemontese tra otto e novecento. Sul fondo dello strumento è scritto in tedesco Inno alla musica che rende liberi e vi sono le note di un motivo. Venne commissionato da una famiglia ebrea torinese, dai cui eredi l'ha acquistato Carutti. Come è successo a molti violini, questo strumento è sopravvissuto ai proprietari, nello specifico a una donna di nome Eva Maria scomparsa nel campo di sterminio di Auschwitz, come ha scoperto Carutti a seguito di lunghe ricerche. Dopo un lungo silenzio, le sue corde torneranno a vibrare in un concerto che sarà organizzato a Cremona in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria.
Carlo Alberto Carutti, che ha superato i 90 anni, ancora lucidissimo, animato da un entusiasmo e da una passione davvero fuori dal comune, basandosi sui pochi elementi a disposizione, è riuscito a ricostruire la storia di questo violino. Apparteneva ad Eva Maria, una ragazza ebrea di 22 anni che, con il fratello Enzo, più giovane di lei, stava scappando in Svizzera. Una fuga interrotta a Tradate, dove vennero catturati dai Tedeschi il 12 novembre del 1943. Portati dapprima nel carcere di San Vittore a Milano, il 6 dicembre furono trasferiti a Verona per essere caricati su un treno con destinazione Auschwitz. La ragazza teneva stretto il suo violino custodito in un vecchio astuccio nero, accanto a lei il fratello Enzo. Una volta giunti al campo di concentramento al termine di un viaggio estenuante i due furono separati. Nell'inferno di Auschwitz Eva Maria fu soprannominata “Cicci” per la fortuna di saper suonare il violino.
Prima di morire nel lager, la ragazza riuscì a consegnare lo strumento al fratello perché potesse ricordarsi di lei, del suo amore per lui, per la musica che li aveva sempre tenuti legati, come nel messaggio che gli lasciò nel violino dove le note della sua musica si sposano con i numeri della sua matricola. Enzo tornò in Italia dopo essere stato liberato dall’Armata Rossa nel gennaio 1945. Le sue condizioni di salute non gli permisero comunque di vivere a lungo: morì a 36 anni, dodici anni dopo. Aveva però sempre tenuto con sé anche l'amato violino che, malconcio e con parecchie rotture, fu poi riparato in modo magistrale da un famoso liutaio di Torino e religiosamente conservato fino ad oggi nel suo astuccio nero, senza essere stato mai più suonato.
Non meno avvincente è la storia del mandolino. A raccontarla è sempre Carlo Alberto Carutti. “Quando esposi una parte della mia collezione a Füssen nel 2012, ricevetti una mail da un signore tedesco che riteneva interessante per la mia raccolta l'acquisto di un mandolino costruito nel febbraio 1917 nel campo di prigionia di Dorchester, in Inghilterra. Il mandolino aveva la tavola armonica rotta ma un bel guscio: comunque non gli diedi una grande importanza. Successivamente questo signore mi inviò le foto contenute nel mandolino che mi sembrarono subito molto interessanti. La foto superiore riproduce un pranzo di Natale dei tedeschi, era il Natale 1916. La foto in basso riproduce dei militari con in mano dei conigli. Tra un’immagine e l’altra la frase Sono stato costruito nel campo di prigionia di Dorchester seguita dalla data, febbraio 1917. Sono perciò andato avanti nelle ricerche per trovare un ragione di queste foto e quindi decidere l’acquisto se tutto avesse avuto un significato”. Un significato che Carlo Alberto Carutti alla fine ha ritenuto di avere trovato e che si collega da una parte alla cosiddetta tregua di Natale del 1914 e, dall'altra, alla propaganda tipica del periodo bellico sul trattamento riservato ai militari nei campi di prigionia.
Per Carlo Alberto Carutti il mandolino è certamente siciliano. “All’inizio del secolo – dice il collezionista - i tedeschi compravano i mandolini di Catania: le doghe alternate chiare e scure erano fatte per il gusto tedesco e ricordavano un po’ i loro liuti. La carta incollata nel guscio è di fattura siciliana: serviva comunemente a foderare i cassetti dei mobili. Il tedesco che si portò dietro questo mandolino in guerra probabilmente ruppe la tavola armonica e la rifece, come pure le controfasce, nel campo di prigionia e nel suo cartiglio si sentì autorizzato a scrivere che il mandolino era stato costruito nel campo di prigionia di Dorchester anche si era limitato a costruire solo le controfasce e la tavola armonica. Il mandolino è stato restaurato da un bravo liutaio come Gabriele Lodi di Carpi e suona benissimo”.