In
occasione della Festa del Torrone, la Fondazione Città di Cremona,
inserita nel circuito del Sistema Museale, apre ai cittadini e ai
turisti il cortile di Palazzo Fodri in corso Matteotti, 17 dalle ore
9 alle ore 12 nei giorni di sabato 16, domenica 17, sabato 23 e
domenica 24 novembre 2013. L'ingresso è libero e gratuito. Questo nobile edificio, uno dei più antichi della città, appartiene alla Fondazione Città di Cremona (già Istituto Elemosiniere) che ancora oggi si occupa di assistenza e beneficenza e di cui si può visitare l’interessante pinacoteca antica e contemporanea nella sede del Palazzo della Carità in piazza Giovanni XXIII, 1 a Cremona (info 0372/421011 – segreteria@fondazionecr.it).
La prima
testimonianza iconografica relativa al palazzo Fodri è costituita,
come per tutti gli antichi immobili cremonesi, dalla pianta della
città redatta da Antonio Campi nel 1582.
La famiglia
Fodri vanta antichissime origini, risalenti almeno al XII secolo, ma
il suo potere si consolida nel corso del Quattrocento, quando diventa
sostenitrice dapprima dei Visconti e quindi degli Sforza, per i quali
esercita il ruolo di esattoria delle gabelle e delle merci importate
dalla campagna. Il documento più importante tra quelli reperiti
risale al 27 aprile 1490, ed ha come oggetto una convenzione tra
Benedetto Fodri e il Maestro Guglielmo de Bocholis, detto De Laera,
in altri documenti citato come ingegnere della magnifica Comunità di
Cremona, a cui viene affidata l’esecuzione di una serie di opere
murarie. Gli storici rilevano come il ruolo di Guglielmo De Lera sia
da interpretare, contestualizzandolo nell’ambito delle consuetudini
della società quattrocentesca, sia come appaltatore delle opere (la
famiglia De Lera, grazie al saldo legame con la famiglia Sforza,
deteneva nel XV secolo tutti i maggiori cantieri cremonesi portandovi
il contributo del costante aggiornamento con il gusto e le novità
derivanti dallo stretto contatto con la corte milanese) sia come
punto di riferimento progettuale per il committente Benedetto; a
Giacomo faceva quindi capo anche la direzione delle opere di
decorazione. Per questo non sono citati nel documento del 1490 i
nominativi degli artisti a cui furono affidate la realizzazione degli
affreschi, in particolare di quelli che ornano il bellissimo atrio di
accesso al palazzo, attribuiti dalla critica a Antonio Della Corna,
Giovan Pietro da Cemmo recentemente a Pietro Sardo; dei fregi in
terracotta posti nella facciata esterna e sui prospetti del cortile,
opera ritenuta da alcuni studiosi di Rinaldo De Stauris e da altri di
Agostino De Fondulis; delle preziose e rarissime tavolette lignee che
decorano i soffitti lignei al piano terra e al primo piano nel corpo
di fabbrica verso l’attuale corso Matteotti.
Un ultimo
importante documento è costituito dalla convenzione del 1493
stipulata tra Benedetto Fodri e lo scultore-architetto Alberto
Maffiolo da Carrara, in questi anni attivo al cantiere della
Cattedrale, a cui viene affidato il compito di “fare costruire,
edificare e mettere in opera lodevolmente la porta in marmo della
casa, conforme il disegno presentato ed accettato dal committente,
entro il mese di maggio”. La descrizione del portale sembra
definire le linee ancora oggi individuabili, nonostante siano
documentati interventi ottocenteschi.
Benedetto
Fodri muore nel 1523; il primogenito Antonio Maria eredita il palazzo
e le case dipendenti. La temperie storica muta alla morte del duca
Francesco II Sforza, con l’occupazione spagnola a partire dal 1535;
in questi anni segnati da siccità, carestie e pestilenze i Fodri,
dediti ormai a studi giuridici, non sanno ben amministrare il
patrimonio e nel 1578 vendono il palazzo alla badessa Cornelia di
Sorlino delle monache benedettine di Santa Maria in Valverde. Il
monastero viene soppresso nel 1784 da Giuseppe II d’Austria, e il
complesso monastico destinato in parte a Monte di Pietà (ufficio
pubblico di prestito a pegno a tasso ridotto, destinato ad aiutare la
povera gente e a preservare i cristiani dal peccato di usura),
dipendente dall’amministrazione dell’Ospedale Maggiore, e in
parte a Casa di lavoro e industria (con lo scopo di dare lavoro alle
persone non abbienti ma in grado di produrre), dipendente
dall’Istituto Generale Elemosiniere.
Nel 1807,
l’amministrazione dell’Ospedale, quindi del Monte di Pietà che
da esso dipendeva, è unita a quella dell’Istituto Elemosiniere,
sotto il titolo di Congregazione di Carità, che da questo momento
amministra entrambe le istituzioni collocate nel complesso
immobiliare di palazzo Fodri.
Con la
legge bancaria del 1898, i Monti di Pietà vengono svincolati dalle
ferree norme vigenti per le Opere Pie e possono operare come istituti
di credito autonomi: nel 1906 il Monte di Pietà di Cremona si rende
indipendente dalla Congregazione di Carità e si costituisce in
amministrazione autonoma. Nel 1913 verranno incorporate la Banca
Martini di Cremona e la Banca Provinciale Genovese. Nel 1927 la Cassa
di Risparmio delle Provincie Lombarde (Cariplo) assorbe la Sezione
credito del Monte di Pietà di Cremona.
Agli anni
1930-1932 risale una importantissima campagna di interventi che ha
interessato l’antico palazzo Fodri, progettati e diretti
dall’architetto cremonese Vito Rastelli. Nel corso dei lavori hanno
prestato la loro opera artisti cremonesi come lo scultore Dante
Ruffini, a cui si devono le copie dei busti in cotto della facciata e
il restauro delle formelle decorative in cotto dell’interno del
cortile; lo scultore Arturo Ferraroni e le squadre di ornatisti della
scuola cremonese Ala Ponzone che hanno curato il restauro, e talvolta
il rifacimento (come nel caso del cornicione verso corso Matteotti)
delle parti in pietra; il pittore Carlo Gremizzi per le decorazioni
murali in genere esterne ed interne su intonaco o legno; l’artigiano
del ferro battuto Pietro Roffi e il decoratore e pittore Giuseppe
Papetti di Crema per il restauro tecnico dei dipinti su muro a fresco
e graffiti.
L’intervento
più delicato ha riguardato la gronda a guscia o “scozia” del
prospetto interno settentrionale, realizzata in mattoni “di una
testa girata arditamente a pieno raggio a sbalzo sul vuoto verso il
cortile per l’ampiezza di oltre un quarto di cerchio”.
L’intervento
generale sul palazzo, fortemente e polemicamente contestato dalla
rivista “Cremona” che sosteneva la necessità e l’opportunità
di un restauro stilistico ricostruttivo, si è invece mosso nella
direzione di mantenere le stratificazioni storiche. In particolare
l’impostazione di Rastelli e del funzionario di Soprintendenza
Carlo Calzecchi è stata quella di non tentare di riportare
l’edificio ad un’immagine precedente ma di confermare la
situazione stratificata e ormai consolidata, soprattutto nel momento
in cui è stato necessario aggiungere un elemento funzionale non più
esistente, come lo scalone di collegamento tra il piano terreno e il
primo piano, scegliendo un linguaggio apertamente moderno, non in
competizione con il fabbricato storico ma che si inserisce
all’interno di esso in modo discreto e denunciando chiaramente la
propria “novità”.