Venerdì 15
novembre, alle 18,00, nello spazio della Galleria Acerbi di corso
Garibaldi,185 sarà inaugurata la mostra antologica dedicata al
pittore Carlo Acerbi dal titolo Carlo Acerbi uomo e artista nella
Cremona del XX secolo. L’iniziativa, organizzata dal figlio
Luigi e dai nipoti Antonio e Paola, con il patrocinio e la
collaborazione del Comune di Cremona e di altri enti cittadini, vuole
essere un omaggio all’artista scomparso nel 1989 e vissuto lungo
tutto lo svolgersi dell’arte italiana del Novecento. L'iniziativa è
stata presentata questa mattina, a Palazzo Comunale, dal sindaco
Oreste Perri, da Ivana Iotta, dirigente del Settore
Cultura e Musei del Comune di Cremona, da Donatella Migliore,
critica d'arte, curatrice dell'allestimento e della pubblicazione
edita per l'occasione. Erano presenti i nipoti dell'artista, Paola
ed Antonio, e Adriana Galetti, in rappresentanza di
CassaPadana, l'istituto di credito che ha fornito il proprio
contributo alla realizzazione dell'esposizione. La mostra, che
rimarrà aperta sino all’8 dicembre prossimo, osserverà i seguenti
orari: tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 10,00 alle 12,00 e
dalle 16,00 alle 19,00.
L'omaggio
al pittore Caro Acerbi, come è stato detto durante la presentazione,
si inserisce nelle iniziative che l'Assessorato alla Cultura sta
portando avanti quale momento di approfondimento dell'arte del '900
cremonese e che vedrà, prossimamente, un'esposizione dedicata allo
scultore Dante Ruffini e al pittore Alfredo Signori. Per la mostra
che si inaugura il 15 novembre, il Comune ha prestato due delle tre
opere dell'artista conservate al Museo Civico (due provenienti dalla
donazione Zanoni e una donata dalla famiglia Acerbi): Angolo
preferito, 1923, olio su tela, e Paesaggio, XX secolo,
olio su tela. Il sindaco Perri ha ringraziato la famiglia Acerbi per
questo dono che viene fatto alla città che potrà così riscoprire
uno dei suoi più illustri cittadini.
Avviato
alle scuole tecniche, Carlo Acerbi manifesta sin dall’inizio una
spiccata attitudine al disegno, per questo viene spronato a
frequentare a Milano l’Accademia di Brera dove avrà come grande
maestro, tra gli altri, Vespasiano Bignami. Suoi compagni di corso
sono Umberto Lilloni, Giuseppe de Rocchi e Angelo Del Bon, che poi
negli anni Venti avvieranno la stagione del Chiarismo cui lo stesso
Acerbi non rimarrà estraneo. Contemporaneamente agli anni di Brera,
Acerbi frequenta anche la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco dove
si distinguerà nel disegno d’ornato per il quale otterrà anche
per tre anni consecutivi la medaglia di bronzo. Ma sono anche gli
anni della prima guerra mondiale e Acerbi, come anche molti suoi
compagni di corso, sarà richiamato al fronte tornandone
fortunatamente sano e salvo.
Il periodo
milanese è fondamentale per la formazione dell’artista che ha la
possibilità di confrontarsi, misurarsi e conoscere non solo l’arte
insegnata in accademica, ma anche quella meno paludata e più viva
del dibattito culturale, del milieu della grande città, degli studi
e dei caffè degli artisti, dove nascevano le polemiche e si
accompagnava il cambiamento, a volte prendendolo per mano, altre
facendo la rivoluzione e “uccidendo il chiar di luna”. Dopo aver
ottenuto l’abilitazione all’insegnamento nel disegno nel 1922,
Acerbi torna definitivamente a Cremona dove si dividerà tra la
pittura, l’insegnamento e il restauro di dipinti antichi, pratica
nella quale acquisirà una professionalità eccellente guidata anche
da una conoscenza e da un “fiuto” eccezionali nel riconoscere
l’autenticità delle opere.
La grande
amicizia con Carlo Vittori, la stima che nutre per lui Illemo
Camelli, il carteggio conservato nell’archivio di famiglia che
attesta il legame di profonda amicizia anche col suo vecchio maestro
Vesapasiano Bignami, attestano la stima dell’ambiente artistico non
solo locale e l’autorevolezza che Acerbi, attraverso la sua alta
professionalità, viene maturando nel corso della sua lunga
esistenza, rimasta intatta fino alla morte. Tra tutte, l’amicizia
con Carlo Vittori fu quella più solida e duratura; Vittori non
mancava mai di fare quotidiane visite allo studio di Acerbi e con lui
sviluppò un legame fraterno che coinvolse entrambe le famiglie, come
ricorda lo stesso figlio Luigi e come testimoniano le tante
fotografie che ritraggono i due pittori in vacanza sulle montagne del
trentino o in momenti di svago nell’orto di casa o sul tanto amato
fiume.
Diverso è
il discorso dei paesaggi o delle vedute, in cui la pittura en plein
air obbliga al “fiuto” atmosferico, ad una particolare
sensibilità al repentino variare della luce, a cogliere l’attimo
fuggente di un momento irripetibile. Lo studio quasi ossessivo della
luce e la difficoltà di tradurre in pennellate il riflesso di questa
sull’acqua, vero tormento per qualsiasi artista, diviene per Acerbi
un impegno costante nei confronti della natura e del suo amato Po, ma
anche di quelle lanche solitarie riprese sotto la canicola cocente o
durante nevicate di ghiaccio, o del Morbasco, soggetto variamente
ripetuto, o ancora degli scorci lacustri o liguri. E allora le
pennellate, larghe e pastose, assecondano una luce diffusa che
accompagna nel suo lento fluire il grande fiume, mentre la luce
tremula di una superficie appena increspata dell’acqua in Morbasco
(1922) è sottolineata da tocchi più brevi, vibranti, giustapposti,
che scompongono sul pelo dell’acqua le forme dei gelsi, dei pioppi,
delle rive e i colori tenui del cielo padano.
Acerbi
demanda al colore la costruzione del dipinto, come in Angolo
preferito (1923) o ne Il bucato (1925), tra i momenti più alti della
sua pittura. Il caldo buono della luce del sole che entra dalla
finestra in Angolo preferito è tutto catturato nel bianco
accecante del tessuto cui attende la donna e da lì si irradia sulle
piante del davanzale, sull’angolo del tavolinetto, sulle mani e
sulla nuca della donna, con una sola, mirabile pennellata di un
bianco rosato. L’eco della tecnica impressionistica delle ombre
colorate, rimbalzata anche nella scuola italiana post macchiaiola, è
qui ancora evidente e sapientemente orchestrata in una costruzione
solida e compatta di tutta l’inquadratura, quasi un flash
fotografico di disarmante e straordinaria quotidianità.
Sono questi
gli anni della sua partecipazione alle mostre sindacali in generale
a tutte le iniziative cittadine, nonché all’attività di quella
famiglia Artistica, che, nata sul modello di quella milanese,
promuoveva anche viaggi e gite culturali e artistiche che avevano
anche il merito di saldare ancora di più l’amicizia fra gli
artisti. Lo scoppio della seconda guerra mondiale rappresenta per
Acerbi un altro difficile momento, un passaggio ad una nuova stagione
di vita e artistica sottolineato dalla scomparsa di Illemo Camelli e
di Carlo Vittori e da cambiamenti epocali anche nell’arte. Gli anni
del dopoguerra, che comunque lo vedono attivo nella vita cittadina
impegnato sia a livello civico che artistico nelle mostre locali e
interprovinciali almeno fino a tutti gli anni sessanta, sono anche
quelli che lo conducano al vivere nascostamente, come ben ha
sottolineato don Pietro Bonometti nel suo affettuoso e bellissimo
ricordo, e a dedicare il resto della sua lunga esistenza a cercare
pazientemente nell’arte creata, insegnata e restaurata, la ragione
stessa della sua vita. E allora pare che il dipingere diventi cosa
per sé, un atto privato, nonostante la sua continua partecipazione
alle mostre dell’Adafa, del Poliedro e, dagli anni Settanta, del
Torrazzo che gli consentono comunque di tenere viva l’amicizia
anche con altri artisti della scena locale.
Nelle opere dell’ultimo
quindicennio Carlo Acerbi prosegue nella scarnificazione della
materia e del linguaggio, con lavori che denotano un segno sempre più
nitido, più grafico che pittorico, e una tavolozza molto delicata,
che indugia su tonalità molto tenui e delicate. L’artista
continuerà a dipingere e a discutere d’arte fino alla morte,
sopravvenuta nel 1989, a pochi mesi di stanza dalla mostra antologica
che i figli e la nipote Paola vollero dedicargli in palazzo Trecchi,
allora sede dell’Adafa. Questa mostra, quindi, vuole riprendere
idealmente il filo del discorso interrotto allora, arricchita anche
di materiale documentario inedito, utile a entrare ancor più, e
meglio, nell’essenza dell’artista e del lungo periodo
storico-artistico di quel secolo breve di cui fu testimone.