18 febbraio 2014

Rassegna “Un pizzico di corda”, è la volta del Manomanouche Quartet

Venerdì 21 febbraio, alle ore 21, nella San Domenico del Museo Civico “Ala Ponzone”, secondo appuntamento della rassegna Un pizzico di corda - quando la musica la musica è vibrazione. Dopo l'esibizione del 31 gennaio scorso del gruppo Sinfonico Honolulu, questa volta va in scena la contaminazione del Manomanouche Quartet (Nunzio Barbieri, chitarra acustica - Pierre Steeve Jino Touche, contrabbasso - Luca Enipeo, chitarra acustica - Massimo Pitzianti, fisarmonica). La proposta artistica dei Manomanouche è infatti caratterizzata da un personale ed originale lavoro di ricerca del suono, degli strumenti e dell'approccio caratteristici dello Swing Manouche. La loro musica è basata sull'improvvisazione, è aperta alle contaminazioni ed è derivante principalmente dalla fusione dello swing, del folklore tzigano e della melodia Italiana. Alle ore 20 ai partecipanti al concerto è riservata la visita guidata gratuita alla nuova collezione di strumenti storici di Carlo Alberto Carutti Le Stanze per la Musica - chitarre, liuti, mandolini. Il costo del biglietto, posto unico, è di 7,00 euro (non sono previste riduzioni), e lo si può acquistare alla biglietteria del Museo Civico di Cremona (dalle ore 10 alle ore 17 - escluso il lunedì) e online sul sito www.vivaticket.it.

Il progetto Manomanouche nasce nel 2001 dall'incontro di musicisti di differente estrazione. L'intento del progetto è di far conoscere ad un pubblico più vasto la cultura e la tradizione musicale degli zingari Manouches. Collaborano con il progetto diversi artisti a livello nazionale ed internazionale. Nell’arco di qualche anno Manomanouche diventa una realà affermata nel circuito dei Jazz Festival per la qualità della ricerca e per la loro sensibilià artistica. L’intensa attività concertistica li porta a consolidare uno stile sempre più personale, senza mai dimenticare le radici del Gypsy Jazz, fonte della loro ispirazione. Infatti, l'essenza dei Manomanouche è stata sempre caratterizzata da un originale e personale sforzo nella ricerca del suono e delle dinamiche. Manomanouche propone una musica basata sull’improvvisazione, aperta alle contaminazioni, derivante principalmente dalla fusione i swing, folklore tzigano e melodia italiana. Il repertorio comprende riarrangiamenti di brani di Django Reinhardt, alcuni standard e nuove composizioni originali. Il concerto ha un impatto immediato sul pubblico ed è completamente realizzato con strumenti acustici.

I nomadi Manouches sono i discendenti del ceppo zingaro più antico. Giunti in Europa occidentale tra il XV e il XVI secolo, dopo un viaggio durato circa un millennio, hanno scelto come sede di permanenza la Francia, l'Olanda, la Germania e il Belgio. La loro origine indiana trova conferma nel nome "manus", appartenente al ceppo linguistico indo-europeo. E' entrato nel linguaggio corrente francese come manouches che dall'antico Hindi deriva dal termine "manusa": essere umano. Un contributo significativo allo sviluppo dello stile musicale Manouche fu apportato negli Anni Trenta dal chitarrista e compositore Django Reinhardt, anch'egli Manouche. Nel 1934, Django creò con il violinista Stéphane Grappelli il Quintetto a corde dell'Hot Club de France. Nasce un nuovo ed interessante jazz Europeo. (Nella Foto Il Quintetto dell'Hot Club di Francia nel 1937: Stéphane Grappelli, Josehp Reinhardt, Django Reinhardt, Luis Vola e Pierre Ferret).

Nei successivi vent'anni, Django fu in grado di mostrare i diversi aspetti del suo smisurato talento. Un virtuoso dello strumento capace di reinventare radicalmente l'approccio della chitarra nel jazz, un compositore di capolavori sbalorditivi alla ricerca continua d'ispirazione nelle nuove tendenze, passando dallo swing al bop, dalla chitarra acustica alla chitarra elettrica. Ma senza mai perdere di vista le sue radici culturali e le sue particolari sonorità. In breve, fu un raro esempio di intelligenza musicale incontaminata dalle mode e dai tempi. Django morì per un'emorragia celebrale il 16 Maggio del 1953 all'età di soli 43 anni.Passiamo alla Germania del 1967 per assistere alla nascita di quello che oggi viene chiamato Gypsy Jazz o Swing Manouche attorno all'emblematica figura del violinista Schnuckenak Reinhardt, con il quale molti musicisti impararono il loro mestiere prima di formare i propri ensembles. I musicisti Sinti scoprirono Django attraverso i dischi e attraverso la pratica musicale, propria delle loro famiglie.

Amando suonare tra loro e per loro stessi una musica nella quale si riconoscono, ancora oggi si tramandano di padre in figlio il loro immenso patrimonio culturale. Nelle comunità Manouche, la tradizione si trasmette oralmente in occasioni di festa ed incontri familiari dove la musica occupa sempre un posto preponderante. Senza dubbio l'invenzione di questo nuovo folklore risale alla fine degli Anni Sessanta. Il fondamentale riferimento per il suo sviluppo fu il primo quintetto a corde di Django, quello formatosi prima della guerra. I Manouche ne impararono il repertorio e acquisirono padronanza con gli strumenti: due chitarre da accompagnamento e un contrabbasso per assicurare una imperturbabile sezione ritmica (da loro chiamata "la pompe" manouche), una chitarra solista, un virtuoso violino e talvolta una fisarmonica. I chitarristi, fedeli ai propri maestri, danno priorità alla ricerca del virtuosismo e dello spettacolare.Il punto di partenza dei loro studi è rappresentato da un certo numero di composizioni di Django (quali Nuages, Minor Swing, Manoir de me Rèves…), dagli standards suonati da Django prima del 1940 e da alcuni valzer musette (influenza dei fisarmonicisti swing come Gus Viseur, Tony Muréna o Jo Privat). Questo fenomeno sia di natura estetica sia di natura sociologica è stato denominato, forse impropriamente, Gypsy Jazz: i Manouche non aderirono affatto al Jazz, ma allo stile di Django con il desiderio di affermare la loro appartenenza etnica.

Il Gypsy Jazz o Swing Manouche possono essere meglio descritti come movimento folcloristico, folklore vivente aperto a influenze esterne nel quale è possibile ogni sorta di scambio, abbracciando un ampio spettro di stili pur rimanendo nel proprio contesto musicale. Da una buona decina d'anni l'influenza di Django sembra non diminuire affatto: sono stati organizzati nuovi festival a lui dedicati in Francia (Django Memorial Festival – Samois Sur Seine , Festival di Angers e Strasburgo), Belgio, Germania (Django Reinhardt Festival di Augsburg), Svezia (Gypsy Jazz Festival di Thorshalla), Inghilterra (UK Gypsy Fest), Norvegia (Django Festival in Oslo), Canada, Stati Uniti (Django Festival di New York al Birdland, North West Django Fest a Washington, San Francisco, Chicago), Islanda (Django Jazz Festival di Akureyri), Giappone e Italia (Festival Jazz Manouche Django Reinhardt di Torino). Diversi gruppi composti da zigani o da gadjès (termine zigano per definire la popolazione non zigana) stanno conferendo un nuovo look alla musica dell'Hot Club, suonandola sui palchi, registrando in studio, viaggiando e facendo rivivere questa tradizione e riscontrando un successo popolare sempre crescente.

Il presupposto della rassegna Un pizzico di corda - quando la musica è vibrazione, che riafferma una volta di più il riconoscimento del saper fare liutario quale bene dell'UNESCO, è appunto l'arrivo al Museo Civico Ala Ponzone della rimarchevole collezione di strumenti storici di Carlo Alberto Carutti, un nuovo motivo di attrazione per il complesso museale di Palazzo Affaitati. Seguendo la stessa filosofia che ha animato la realizzazione de “L'altro lato del violino”, la nuova rassegna non presenta il lato più “ingessato” e tradizionale della chitarra, ne cerca anzi volti originali e alternativi, nel tentativo di intercettare anche i gusti di un pubblico giovane e non necessariamente aduso a frequentare le sale da concerto.

La collezione Le Stanze per la Musica ripercorre quattro secoli di liuteria ed è formata da 65 strumenti, alcuni dei quali appartenuti a noti collezionisti, musicisti ed esponenti dell’aristocrazia. Oltre ad interessanti esemplari di violini, viole, viole d’amore, pochettes e ghironde, sono presenti una cinquantina di strumenti a corde pizzicate fra cui chitarre, english-guitars, mandolini e liuti, costruiti dai principali artigiani europei attivi nei secoli XVII, XVIII e XIX. Fra questi ricordiamo alcuni rappresentanti di prestigiose dinastie di liutai quali i Voboam, Fabricatore, Guadagnini, Pons, Panormo, Stauffer, e formidabili costruttori fra cui Fedele Barnia, Gérard Deleplanque, Jean-Nicolas Lambert, Réne Lacôte, Nicolas Grobert e Antonio de Torres. Ricordiamo infine la chitarra costruita dal liutaio francese Aubry-Maire, appartenuta al cantante spagnolo Lorenzo Pagans che è ritratto nell’atto di suonarla in un dipinto di Edgar Degas.

Per informazioni
Museo Civico “Ala Ponzone”, via Ugolani Dati, 4
tel. 0372-407269 - 407770









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