Venerdì
21 febbraio, alle ore 21, nella San Domenico del Museo Civico “Ala
Ponzone”, secondo appuntamento della rassegna Un pizzico di
corda - quando la musica la musica è vibrazione. Dopo
l'esibizione del 31 gennaio scorso del gruppo Sinfonico Honolulu,
questa volta va in scena la contaminazione del Manomanouche
Quartet (Nunzio Barbieri, chitarra acustica - Pierre Steeve Jino
Touche, contrabbasso - Luca Enipeo, chitarra acustica - Massimo
Pitzianti, fisarmonica). La proposta artistica dei Manomanouche è
infatti caratterizzata da un personale ed originale lavoro di ricerca
del suono, degli strumenti e dell'approccio caratteristici dello
Swing Manouche. La loro musica è basata sull'improvvisazione, è
aperta alle contaminazioni ed è derivante principalmente dalla
fusione dello swing, del folklore tzigano e della melodia Italiana.
Alle ore 20 ai partecipanti al concerto è riservata la visita
guidata gratuita alla nuova collezione di strumenti storici di Carlo
Alberto Carutti Le Stanze per la Musica - chitarre, liuti,
mandolini. Il costo del biglietto, posto unico, è di 7,00 euro
(non sono previste riduzioni), e lo si può acquistare alla
biglietteria del Museo Civico di Cremona (dalle ore 10 alle ore 17 -
escluso il lunedì) e online sul sito www.vivaticket.it.
Il
progetto Manomanouche nasce nel 2001 dall'incontro di musicisti di
differente estrazione. L'intento del progetto è di far conoscere ad
un pubblico più vasto la cultura e la tradizione musicale degli
zingari Manouches. Collaborano con il progetto diversi artisti a
livello nazionale ed internazionale. Nell’arco di qualche anno
Manomanouche diventa una realà affermata nel circuito dei Jazz
Festival per la qualità della ricerca e per la loro sensibilià
artistica. L’intensa attività concertistica li porta a consolidare
uno stile sempre più personale, senza mai dimenticare le radici del
Gypsy Jazz, fonte della loro ispirazione. Infatti, l'essenza dei
Manomanouche è stata sempre caratterizzata da un originale e
personale sforzo nella ricerca del suono e delle dinamiche.
Manomanouche propone una musica basata sull’improvvisazione, aperta
alle contaminazioni, derivante principalmente dalla fusione i swing,
folklore tzigano e melodia italiana. Il repertorio comprende
riarrangiamenti di brani di Django Reinhardt, alcuni standard e nuove
composizioni originali. Il concerto ha un impatto immediato sul
pubblico ed è completamente realizzato con strumenti acustici.
I
nomadi Manouches sono i discendenti del ceppo zingaro più antico.
Giunti in Europa occidentale tra il XV e il XVI secolo, dopo un
viaggio durato circa un millennio, hanno scelto come sede di
permanenza la Francia, l'Olanda, la Germania e il Belgio. La loro
origine indiana trova conferma nel nome "manus",
appartenente al ceppo linguistico indo-europeo. E' entrato nel
linguaggio corrente francese come manouches che dall'antico Hindi
deriva dal termine "manusa": essere umano. Un contributo
significativo allo sviluppo dello stile musicale Manouche fu
apportato negli Anni Trenta dal chitarrista e compositore Django
Reinhardt, anch'egli Manouche. Nel 1934, Django creò con il
violinista Stéphane Grappelli il Quintetto a corde dell'Hot Club de
France. Nasce un nuovo ed interessante jazz Europeo. (Nella Foto Il
Quintetto dell'Hot Club di Francia nel 1937: Stéphane Grappelli,
Josehp Reinhardt, Django Reinhardt, Luis Vola e Pierre Ferret).
Nei
successivi vent'anni, Django fu in grado di mostrare i diversi
aspetti del suo smisurato talento. Un virtuoso dello strumento capace
di reinventare radicalmente l'approccio della chitarra nel jazz, un
compositore di capolavori sbalorditivi alla ricerca continua
d'ispirazione nelle nuove tendenze, passando dallo swing al bop,
dalla chitarra acustica alla chitarra elettrica. Ma senza mai perdere
di vista le sue radici culturali e le sue particolari sonorità. In
breve, fu un raro esempio di intelligenza musicale incontaminata
dalle mode e dai tempi. Django morì per un'emorragia celebrale il 16
Maggio del 1953 all'età di soli 43 anni.Passiamo alla Germania del
1967 per assistere alla nascita di quello che oggi viene chiamato
Gypsy Jazz o Swing Manouche attorno all'emblematica figura del
violinista Schnuckenak Reinhardt, con il quale molti musicisti
impararono il loro mestiere prima di formare i propri ensembles. I
musicisti Sinti scoprirono Django attraverso i dischi e attraverso la
pratica musicale, propria delle loro famiglie.
Amando
suonare tra loro e per loro stessi una musica nella quale si
riconoscono, ancora oggi si tramandano di padre in figlio il loro
immenso patrimonio culturale. Nelle comunità Manouche, la tradizione
si trasmette oralmente in occasioni di festa ed incontri familiari
dove la musica occupa sempre un posto preponderante. Senza dubbio
l'invenzione di questo nuovo folklore risale alla fine degli Anni
Sessanta. Il fondamentale riferimento per il suo sviluppo fu il primo
quintetto a corde di Django, quello formatosi prima della guerra. I
Manouche ne impararono il repertorio e acquisirono padronanza con gli
strumenti: due chitarre da accompagnamento e un contrabbasso per
assicurare una imperturbabile sezione ritmica (da loro chiamata "la
pompe" manouche), una chitarra solista, un virtuoso violino e
talvolta una fisarmonica. I chitarristi, fedeli ai propri maestri,
danno priorità alla ricerca del virtuosismo e dello spettacolare.Il
punto di partenza dei loro studi è rappresentato da un certo numero
di composizioni di Django (quali Nuages, Minor Swing, Manoir de me
Rèves…), dagli standards suonati da Django prima del 1940 e da
alcuni valzer musette (influenza dei fisarmonicisti swing come Gus
Viseur, Tony Muréna o Jo Privat). Questo fenomeno sia di natura
estetica sia di natura sociologica è stato denominato, forse
impropriamente, Gypsy Jazz: i Manouche non aderirono affatto al Jazz,
ma allo stile di Django con il desiderio di affermare la loro
appartenenza etnica.
Il
Gypsy Jazz o Swing Manouche possono essere meglio descritti come
movimento folcloristico, folklore vivente aperto a influenze esterne
nel quale è possibile ogni sorta di scambio, abbracciando un ampio
spettro di stili pur rimanendo nel proprio contesto musicale. Da una
buona decina d'anni l'influenza di Django sembra non diminuire
affatto: sono stati organizzati nuovi festival a lui dedicati in
Francia (Django Memorial Festival – Samois Sur Seine , Festival di
Angers e Strasburgo), Belgio, Germania (Django Reinhardt Festival di
Augsburg), Svezia (Gypsy Jazz Festival di Thorshalla), Inghilterra
(UK Gypsy Fest), Norvegia (Django Festival in Oslo), Canada, Stati
Uniti (Django Festival di New York al Birdland, North West Django
Fest a Washington, San Francisco, Chicago), Islanda (Django Jazz
Festival di Akureyri), Giappone e Italia (Festival Jazz Manouche
Django Reinhardt di Torino). Diversi gruppi composti da zigani o da
gadjès (termine zigano per definire la popolazione non zigana)
stanno conferendo un nuovo look alla musica dell'Hot Club, suonandola
sui palchi, registrando in studio, viaggiando e facendo rivivere
questa tradizione e riscontrando un successo popolare sempre
crescente.
Il
presupposto della rassegna Un pizzico di corda - quando la
musica è vibrazione, che riafferma una volta di più il
riconoscimento del saper fare liutario quale bene
dell'UNESCO, è appunto l'arrivo al Museo Civico Ala Ponzone della
rimarchevole collezione di strumenti storici di Carlo Alberto
Carutti, un nuovo motivo di attrazione per il complesso museale di
Palazzo Affaitati. Seguendo la stessa filosofia che ha animato la
realizzazione de “L'altro lato del violino”, la nuova rassegna
non presenta il lato più “ingessato” e tradizionale della
chitarra, ne cerca anzi volti originali e alternativi, nel tentativo
di intercettare anche i gusti di un pubblico giovane e non
necessariamente aduso a frequentare le sale da concerto.
La
collezione Le Stanze per la Musica ripercorre quattro secoli di
liuteria ed è formata da 65 strumenti, alcuni dei quali appartenuti
a noti collezionisti, musicisti ed esponenti dell’aristocrazia.
Oltre ad interessanti esemplari di violini, viole, viole d’amore,
pochettes e ghironde, sono presenti una cinquantina di strumenti a
corde pizzicate fra cui chitarre, english-guitars, mandolini e liuti,
costruiti dai principali artigiani europei attivi nei secoli XVII,
XVIII e XIX. Fra questi ricordiamo alcuni rappresentanti di
prestigiose dinastie di liutai quali i Voboam, Fabricatore,
Guadagnini, Pons, Panormo, Stauffer, e formidabili costruttori fra
cui Fedele Barnia, Gérard Deleplanque, Jean-Nicolas Lambert, Réne
Lacôte, Nicolas Grobert e Antonio de Torres. Ricordiamo infine la
chitarra costruita dal liutaio francese Aubry-Maire, appartenuta al
cantante spagnolo Lorenzo Pagans che è ritratto nell’atto di
suonarla in un dipinto di Edgar Degas.
Per
informazioni
Museo
Civico “Ala Ponzone”, via Ugolani Dati, 4
tel.
0372-407269 - 407770