In occasione del Giorno del Ricordo, istituito per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, in tarda mattinata, al Civico Cimitero, presenti il sindaco Oreste Perri, l'assessore Chiara Cappelletti in rappresentanza della Provincia di Cremona, le massime autorità civili e militari, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e partigiane, è stata deposta una corona d’alloro al monumento ai caduti di Istria e Dalmazia. E' stato quindi suonato il silenzio da un trombettiere del complesso bandistico "Città di Cremona". Ha preso quindi la parola il sindaco Oreste Perri che ha pronunciato, come da tradizione, un breve intervento commemorativo.
Queste le parole del sindaco:
Autorità civili e militari,
rappresentanti delle associazioni combattentistiche e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia,
con questa cerimonia teniamo viva nella nostra città la memoria dei massacri delle Foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati avvenuti durante e dopo la seconda guerra mondiale.
Agli esuli, ai figli e ai nipoti di quella dura storia, a nome di tutta la città di Cremona, esprimo affettuosa vicinanza e solidarietà.
La comunità giuliano dalmata ha chiesto giustizia e ha proposto sempre la sua memoria senza rancore, una memoria che vuole condivisa, soprattutto perché tanto sacrificio e tanto dolore non siano stati vissuti invano.
Un popolo, quello giuliano dalmata, espulso, sradicato, privato della propria patria.
Fatti non isolati, purtroppo, nella storia del Novecento, un secolo segnato da immani drammi che hanno piegato l’Europa: due guerre mondiali e l’Olocausto, gli orrori del colonialismo e i gulag staliniani, fino alla pulizia etnica e alle fosse comuni della ex Jugoslavia, perpetuate ancora solo pochi anni fa, a pochi chilometri dai nostri confini.
Una parte del popolo giuliano dalmata trovò rifugio a Cremona, soprattutto nel quartiere di Borgo Loreto, e ha lasciato una traccia importante nella storia della nostra comunità.
Dopo l’8 settembre 1943 trecentocinquantamila abitanti di quelle terre sono stati costretti a lasciare lavoro, case, tutto quello che possedevano per cercare scampo altrove, condannati a mai più ritornare nelle proprie terre. Quindicimila persone sono state barbaramente trucidate.
Per molti decenni di tutto ciò non è esistita traccia nella memoria collettiva italiana, non c’è stato un libro scolastico che trattasse di tali vicende, non c’è stata pubblica Istituzione che ritenesse doveroso rievocare e commemorare queste tragedie, che sicuramente erano state le più dolorose tra quelle in cui era incorsa la comunità nazionale in tutta la sua storia.
Bastava uscire dalla Venezia Giulia, bastava superare l’Isonzo perché le parole foibe ed esodo risultassero prive di significato e niente fossero in grado di evocare.
In questa situazione è intervenuta, nel 2004, la norma istitutiva del “Giorno del ricordo” con la legge n. 92 del 30 marzo 2004.
Un atto compiuto ad oltre mezzo secolo di distanza, con il quale il Parlamento (con voto pressoché unanime) ha riconosciuto che le foibe e l’esodo hanno costituito due tragedie umane nazionali, tanto da meritare che lo Stato Italiano dedichi ufficialmente una giornata (quella del 10 febbraio) al loro ricordo.
C’è ancora una questione aperta, meritevole di approfondimento e di attenzione, non basta conoscere cosa sia avvenuto. È necessario, al di là della ricostruzione dei fatti, ricordare, ma anche capire; solo quando avremo capito, e fatto capire, chi realmente porta la responsabilità di quei crimini, di quella tragedia, solo allora sarà possibile affermare che si sono finalmente regolati i conti con la verità e con la giustizia.
La memoria, per protrarsi nel tempo, per passare da generazione a generazione, ha bisogno di essere rinvigorita continuamente tenendo vivo, accanto al ricordo delle vittime di allora, anche il ricordo di coloro, e non furono pochi, che si prodigarono per aiutare i profughi, contribuendo così a tener vivi gli ideali di umanità e di solidarietà che hanno contrassegnato la storia millenaria di Cremona.
Oggi abbiamo il dovere di insegnare, diffondere, difendere e promuovere quegli ideali di libertà, di tolleranza, di solidarietà e di rispetto che costituiscono il miglior antidoto contro ogni sorta di discriminazione fra i diritti delle persone e delle genti.
Valori e principii condivisi, leggi comuni, collaborazione economica e il sentimento di essere protagonisti in un orizzonte di pace e prosperità, quello dell’Europa: tutto questo è importante più che mai oggi, nel vivo della crisi economica più grave che si sia vissuta nel dopoguerra e che sta segnando profondamente il nuovo secolo.
Anche ricordare il dramma delle Foibe può aiutarci a non perdere la strada. Quella della convivenza pacifica e del riconoscimento del valore delle differenze e del rispetto dell’altro, contro ogni razzismo, contro la violenza, perché con la memoria si coltivino valori positivi per costruire il nostro futuro e delle nuove generazioni.
Dopo l'intervento del sindaco, Laura Calci Chiozzi, a nome di Mario Ive, presidente del Comitato provinciale Venezia Giulia e Dalmazia - costretto da tempo a muoversi su una carrozzella e per questo impossibilitato ad intervenire alla cerimonia a causa del maltempo - ha ringraziato i partecipanti che hanno sfidato le avverse condizioni climatiche pur di essere presenti, paragonando la pioggia alle tante lacrime versate tanti anni addietro. Laura Calci Chiozzi ha infine lanciato un invito a tenere sempre viva la memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo dei giuliani, dei fiumani, dei dalmati dalla loro terra natia anche quando quelli che appartengono alla sua generazione non ci saranno più.