11 novembre 2013

Importante omaggio all'artista cremonese Carlo Acerbi


Venerdì 15 novembre, alle 18,00, nello spazio della Galleria Acerbi di corso Garibaldi,185 sarà inaugurata la mostra antologica dedicata al pittore Carlo Acerbi dal titolo Carlo Acerbi uomo e artista nella Cremona del XX secolo. L’iniziativa, organizzata dal figlio Luigi e dai nipoti Antonio e Paola, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Cremona e di altri enti cittadini, vuole essere un omaggio all’artista scomparso nel 1989 e vissuto lungo tutto lo svolgersi dell’arte italiana del Novecento. L'iniziativa è stata presentata questa mattina, a Palazzo Comunale, dal sindaco Oreste Perri, da Ivana Iotta, dirigente del Settore Cultura e Musei del Comune di Cremona, da Donatella Migliore, critica d'arte, curatrice dell'allestimento e della pubblicazione edita per l'occasione. Erano presenti i nipoti dell'artista, Paola ed Antonio, e Adriana Galetti, in rappresentanza di CassaPadana, l'istituto di credito che ha fornito il proprio contributo alla realizzazione dell'esposizione. La mostra, che rimarrà aperta sino all’8 dicembre prossimo, osserverà i seguenti orari: tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 16,00 alle 19,00.


L'omaggio al pittore Caro Acerbi, come è stato detto durante la presentazione, si inserisce nelle iniziative che l'Assessorato alla Cultura sta portando avanti quale momento di approfondimento dell'arte del '900 cremonese e che vedrà, prossimamente, un'esposizione dedicata allo scultore Dante Ruffini e al pittore Alfredo Signori. Per la mostra che si inaugura il 15 novembre, il Comune ha prestato due delle tre opere dell'artista conservate al Museo Civico (due provenienti dalla donazione Zanoni e una donata dalla famiglia Acerbi): Angolo preferito, 1923, olio su tela, e Paesaggio, XX secolo, olio su tela. Il sindaco Perri ha ringraziato la famiglia Acerbi per questo dono che viene fatto alla città che potrà così riscoprire uno dei suoi più illustri cittadini.

Avviato alle scuole tecniche, Carlo Acerbi manifesta sin dall’inizio una spiccata attitudine al disegno, per questo viene spronato a frequentare a Milano l’Accademia di Brera dove avrà come grande maestro, tra gli altri, Vespasiano Bignami. Suoi compagni di corso sono Umberto Lilloni, Giuseppe de Rocchi e Angelo Del Bon, che poi negli anni Venti avvieranno la stagione del Chiarismo cui lo stesso Acerbi non rimarrà estraneo. Contemporaneamente agli anni di Brera, Acerbi frequenta anche la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco dove si distinguerà nel disegno d’ornato per il quale otterrà anche per tre anni consecutivi la medaglia di bronzo. Ma sono anche gli anni della prima guerra mondiale e Acerbi, come anche molti suoi compagni di corso, sarà richiamato al fronte tornandone fortunatamente sano e salvo.


Il periodo milanese è fondamentale per la formazione dell’artista che ha la possibilità di confrontarsi, misurarsi e conoscere non solo l’arte insegnata in accademica, ma anche quella meno paludata e più viva del dibattito culturale, del milieu della grande città, degli studi e dei caffè degli artisti, dove nascevano le polemiche e si accompagnava il cambiamento, a volte prendendolo per mano, altre facendo la rivoluzione e “uccidendo il chiar di luna”. Dopo aver ottenuto l’abilitazione all’insegnamento nel disegno nel 1922, Acerbi torna definitivamente a Cremona dove si dividerà tra la pittura, l’insegnamento e il restauro di dipinti antichi, pratica nella quale acquisirà una professionalità eccellente guidata anche da una conoscenza e da un “fiuto” eccezionali nel riconoscere l’autenticità delle opere.

La grande amicizia con Carlo Vittori, la stima che nutre per lui Illemo Camelli, il carteggio conservato nell’archivio di famiglia che attesta il legame di profonda amicizia anche col suo vecchio maestro Vesapasiano Bignami, attestano la stima dell’ambiente artistico non solo locale e l’autorevolezza che Acerbi, attraverso la sua alta professionalità, viene maturando nel corso della sua lunga esistenza, rimasta intatta fino alla morte. Tra tutte, l’amicizia con Carlo Vittori fu quella più solida e duratura; Vittori non mancava mai di fare quotidiane visite allo studio di Acerbi e con lui sviluppò un legame fraterno che coinvolse entrambe le famiglie, come ricorda lo stesso figlio Luigi e come testimoniano le tante fotografie che ritraggono i due pittori in vacanza sulle montagne del trentino o in momenti di svago nell’orto di casa o sul tanto amato fiume. 


 Sono anni importanti quelli, gli anni Venti e Trenta, i migliori anche della sua produzione, e non solo per la volontà di ritrarre dal vero la natura, di riprendere en plein air il suo Po insieme all’inseparabile amico. Sono gli anni in cui Acerbi esegue opere come Il Morbasco del 1922, Mia madre, Carrelli e Angolo preferito del 1923, Il bucato del 1925 e le tante vedute del Po e dei suoi tramonti, anche di piccolo formato. I dipinti, come i disegni, degli anni Venti risentono ancora del clima milanese, della lezione appresa da quel grande maestro che fu Vespasiano Bignami e ripensata in una maniera che si inserisce sia nel naturalismo lombardo, soprattutto nei ritratti, sia nell’ultima stagione della Scapigliatura, di cui Bignami fu la punta di diamante. Gli autoritratti di questo periodo ci rivelano un giovane artista ripreso di trequarti, in posa quasi fotografica, dal piglio autorevole, lo sguardo acuto, la fronte spaziosa su cui la luce scivola fino ad illuminare la guancia, il mento, il collo e a dare risalto, con due sole, magnifiche pennellate, al colletto della camicia.

Diverso è il discorso dei paesaggi o delle vedute, in cui la pittura en plein air obbliga al “fiuto” atmosferico, ad una particolare sensibilità al repentino variare della luce, a cogliere l’attimo fuggente di un momento irripetibile. Lo studio quasi ossessivo della luce e la difficoltà di tradurre in pennellate il riflesso di questa sull’acqua, vero tormento per qualsiasi artista, diviene per Acerbi un impegno costante nei confronti della natura e del suo amato Po, ma anche di quelle lanche solitarie riprese sotto la canicola cocente o durante nevicate di ghiaccio, o del Morbasco, soggetto variamente ripetuto, o ancora degli scorci lacustri o liguri. E allora le pennellate, larghe e pastose, assecondano una luce diffusa che accompagna nel suo lento fluire il grande fiume, mentre la luce tremula di una superficie appena increspata dell’acqua in Morbasco (1922) è sottolineata da tocchi più brevi, vibranti, giustapposti, che scompongono sul pelo dell’acqua le forme dei gelsi, dei pioppi, delle rive e i colori tenui del cielo padano.


Acerbi demanda al colore la costruzione del dipinto, come in Angolo preferito (1923) o ne Il bucato (1925), tra i momenti più alti della sua pittura. Il caldo buono della luce del sole che entra dalla finestra in Angolo preferito è tutto catturato nel bianco accecante del tessuto cui attende la donna e da lì si irradia sulle piante del davanzale, sull’angolo del tavolinetto, sulle mani e sulla nuca della donna, con una sola, mirabile pennellata di un bianco rosato. L’eco della tecnica impressionistica delle ombre colorate, rimbalzata anche nella scuola italiana post macchiaiola, è qui ancora evidente e sapientemente orchestrata in una costruzione solida e compatta di tutta l’inquadratura, quasi un flash fotografico di disarmante e straordinaria quotidianità.

Sono questi gli anni della sua partecipazione alle mostre sindacali in generale a tutte le iniziative cittadine, nonché all’attività di quella famiglia Artistica, che, nata sul modello di quella milanese, promuoveva anche viaggi e gite culturali e artistiche che avevano anche il merito di saldare ancora di più l’amicizia fra gli artisti. Lo scoppio della seconda guerra mondiale rappresenta per Acerbi un altro difficile momento, un passaggio ad una nuova stagione di vita e artistica sottolineato dalla scomparsa di Illemo Camelli e di Carlo Vittori e da cambiamenti epocali anche nell’arte. Gli anni del dopoguerra, che comunque lo vedono attivo nella vita cittadina impegnato sia a livello civico che artistico nelle mostre locali e interprovinciali almeno fino a tutti gli anni sessanta, sono anche quelli che lo conducano al vivere nascostamente, come ben ha sottolineato don Pietro Bonometti nel suo affettuoso e bellissimo ricordo, e a dedicare il resto della sua lunga esistenza a cercare pazientemente nell’arte creata, insegnata e restaurata, la ragione stessa della sua vita. E allora pare che il dipingere diventi cosa per sé, un atto privato, nonostante la sua continua partecipazione alle mostre dell’Adafa, del Poliedro e, dagli anni Settanta, del Torrazzo che gli consentono comunque di tenere viva l’amicizia anche con altri artisti della scena locale. 


Nelle opere dell’ultimo quindicennio Carlo Acerbi prosegue nella scarnificazione della materia e del linguaggio, con lavori che denotano un segno sempre più nitido, più grafico che pittorico, e una tavolozza molto delicata, che indugia su tonalità molto tenui e delicate. L’artista continuerà a dipingere e a discutere d’arte fino alla morte, sopravvenuta nel 1989, a pochi mesi di stanza dalla mostra antologica che i figli e la nipote Paola vollero dedicargli in palazzo Trecchi, allora sede dell’Adafa. Questa mostra, quindi, vuole riprendere idealmente il filo del discorso interrotto allora, arricchita anche di materiale documentario inedito, utile a entrare ancor più, e meglio, nell’essenza dell’artista e del lungo periodo storico-artistico di quel secolo breve di cui fu testimone.


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